Il libro del mese

Furio Scarpelli, Si ricorda di me, signor tenente?, Sellerio, 2023

Furio Scarpelli (spesso e volentieri in coppia con Agenore Incrocci) ha scritto la storia del cinema popolare italiano. Basti pensare a titoli come “I mostri”, “La Terrazza”, “La Famiglia”, “Risate di gioia”, tanto per citarne alcuni. Opere che hanno descritto il nostro Belpaese, i suoi cittadini tragicamente umani e grotteschi, ma senza mai eccedere nella caricatura fine a sé stessa. Il cinema come narrazione per immagini, in grado di (ri)scrivere la nostra storia, estromettendo la retorica del ventennio e la giustificazione sulle nostre colpe (basti pensare che non abbiamo nemmeno il coraggio di parlare di Arbe dove sorgeva un nostro campo di concentramento dove sono morti centinaia di migliaia di slavi) per puntare a una critica precisa del sistema socio politico, seppure evitando la seriosità della tragedia e affidandosi a un senso dell’umorismo tagliente. Badate bene, non si evitava di metter in scena la tragedia, ma essa veniva accompagnata dalla commedia non per sminuire o sdrammatizzare il tema portante del film, bensì per evidenziare lo squallore, il ridicolo, il pressapochismo e insieme anche la debolezza umana. La nostra non era la commedia sofisticata di scaramucce sentimentali che facevano in America negli anni sessanta, non era nemmeno profondamente cittadina e borghese come quella parigina. Noi raccontavamo le classi. Quella dominate e borghese costruita da mostri e le altre da sventurati, da uomini che cercavano il riscatto al tempo del boom. Opere che alla risata amarissima e feroce aggiungevano momenti toccanti e commoventi, in cui la Maschera diventava un essere vivente di fronte alla propria nullità, mediocrità, infelicità.
Furio Scarpelli è stato anche uno scrittore. Tra le sue opere letterarie spicca questo romanzo edito dai tipi della Sellerio editore: Si ricorda di me, signor tenente?
Un libro che potremmo definire un “giallo della memoria”, sulla “tensione del ricordare”, più che un classico giallo a cui ci ha abituati la nota casa editrice di Palermo. Qui non si indaga su un omicidio, non c’è un vero o proprio crimine, piuttosto si vuol indagare sull’identità di una persona che dopo tantissimi anni ritorna prepotentemente nella nostra vita.  Più che un criminale si vuol condannare un gesto, un’azione compiuta quando si era giovani e soldati.
Giulio è un uomo anziano che vive la sua vita da pensionato a Milano. Pochi gesti ripetuti, problemi di memoria, un esaurimento nervoso alle spalle. E la guerra. Ormai materiale legato all’es, tenuto ben nascosto. Come molti uomini che sono usciti vivi dal conflitto, seppure segnato nell’anima per un lungo periodo, non ama rievocare quel periodo. I perdenti non hanno storie di gloria nazionale e individuale da lasciare alle nuove generazioni, ma solo la vergogna. Una guerra lampo che ha messo in evidenza tutta la stoltezza del regime e dei vertici militari. Con i nostri soldati abbandonati dopo l’Otto Settembre. Giulio ha vissuto tutto questo orrore, certo da ragazzo per cui non mancano i momenti di sana ilarità, nondimeno il conflitto che abbiamo scatenato contro la Grecia, non va come dovrebbe.
Un giorno il nostro protagonista incontra un vecchio sguaiato, rozzo, intrallazzone che gli dice essere un suo vecchio e caro amico dei tempi della guerra: Oscar.
Costui trascina il povero Giulio in un viaggio nella memoria, cercando di portarlo a ricordare tutto quello che è successo a loro durante il conflitto, in particolare al loro amico Gigi.
Oscar è sincero o un imbroglione che sta manipolando un uomo anziano, incapace di rammentare i fatti avvenuti nella sua vita?
Un piccolo libro che si fa apprezzare moltissimo per lo stile: conciso, ritmato, capace con poche righe di rappresentare una classe, una generazione, un conflitto famigliare o storico. Opera buffa e allo stesso tempo tragica, che mette in scena uomini spezzati, normali nelle loro deformazioni etiche o nelle loro piccole vite quotidiane. L’ironia sferzante non è mai minimamente consolatoria però non risulta nemmeno eccessiva o troppo cinica. Scarpelli veste, con gli abiti di una pietà e compassione palpitante e vera, quelli che potrebbero (e sono) i suoi giudizi morali sui protagonisti, sulla storia italiana. Scarpelli accompagna il tutto con quel senso del grottesco, della risata che sono state per decenni il punto di forza della migliore idea di commedia mai portata sullo schermo: quella italiana.