La lettura dell’ultimo romanzo di Rosella Postorino (candidato al Premio Strega 2023) ci fa immergere nelle terribili vicende che hanno sconvolto i Paesi dell’ex Jugoslavia poco più di trent’anni fa. Il racconto, che si ispira ad una vicenda realmente accaduta, si inserisce splendidamente nel filone già ricco della narrativa italiana che tratta della guerra e del suo distruttivo impatto sulla vita delle persone, sia pure sopravvissute agli eventi.
La Postorino si ispira ad una vicenda che, come lei stessa ha raccontato, l’ha profondamente colpita: il bombardamento dell’orfanotrofio di Bjelave a Sarajevo, il successivo trasferimento dei bambini in Italia e la decisione di dare in affido o in adozione alcuni di loro. Decisione presa senza aver verificato se i genitori fossero sopravvissuti alla guerra e attendessero il rientro in Bosnia dei loro figli. I protagonisti sono quattro ragazzini: Nada, Omar, Danilo e Senadin che, a bordo di un vecchio pullman che da Sarajevo li porta in Italia lungo un percorso pieno di ostacoli e pericoli. Chi ha vissuto quegli anni ricorda bene quei vecchi mezzi di trasporto carichi di bambini con occhi assonnati e spaventati, accolti da italiani spinti da buone intenzioni ma molto spesso incapaci di comprendere fino in fondo l’immenso senso di spaesamento di queste vittime. E tuttavia questo è il viaggio che, allontanandoli dai teatri di guerra, dovrebbe riportare questi ragazzi alla speranza ma carichi di un bagaglio di dolore inesprimibile causato dalla brutale separazione dalle persone care, che sia una madre o un fratello.
Il libro abbraccia un ampio arco di anni, dal 1992 al 2011, periodo durante il quale i protagonisti diventano adulti, al prezzo di molta fatica. Troppo profonde le ferite che, sia pur lontane nel tempo, non smettono di sanguinare: sono sfuggiti ai cecchini e ai bombardamenti ma non alla lacerazione causata dalla lontananza dai propri cari di cui spesso ignorano le sorti. E ognuno di loro proverà a costruirsi una nuova esistenza in una realtà che li ha accolti ma, forse, non guariti completamente.
C’è Senadin con lo sguardo verso il futuro e Omar che invece ha ancora gli occhi e il cuore sintonizzati sul passato incapace di accettare il nuovo mondo in cui deve vivere. E poi c’è Nada, l’unica ragazza del gruppo, tenace e forte abbastanza per costruirsi un proprio modo di vivere e che sarà l’indiscusso punto di riferimento dei ragazzi. Anche quando le loro vite prenderanno strade diverse rimarrà sempre un filo che li accomuna: in loro si intravede un duplice identità e un dolore costante per quanto la guerra ha inflitto alle loro vite. L’Autrice intreccia le vicende di questi ragazzi con la Storia e lo fa in modo da non suscitare una banale e facile compassione. La sua scrittura, solo apparentemente distaccata dagli eventi, ci fa emozionare senza scivolare nel patetico. E’ un approccio corretto e doveroso poiché i fatti narrati sono talmente gravidi di dolore da non poter essere presentati come semplici incidenti di percorso nelle esistenze dei personaggi.
Un libro intenso, da leggere in un momento storico in cui l’Europa vive un altro terribile conflitto, quello in Ucraina, anch’esso inferno per migliaia di persone.