Un romanzo storico in cui i personaggi sono il punto di forza: ve ne innamorerete e soffrirete con loro.
Quante volte capita di trovare un libro perfetto? Dove neppure una frase o una parola sono fuori posto? Dove tutto scorre come deve scorrere e da cui non ti staccheresti neppure un attimo? Pochissime. Che io ricordi, recentemente, mi è successo con La tredicesima storia di Diane Setterfield e con l’assoluto Moby Dick di Melville. Sono pochi i libri del genere ma quando li incontri non puoi dimenticarli. Vorresti rileggerli appena chiusi e non faresti altro che consigliarli a chiunque capiti, anche a chi ti passa accanto per strada. Che poi non sai neppure esprimere bene il perché e stenti a capirlo persino tu.
Ma se provi a definirlo parti sempre dal modo di scrivere che è imprescindibile per designare un semplice libro come capolavoro (anche se ti periti sempre un po’ ad usare questa parola e, se lo fai, di solito, la sussurri). Ed Enquist scrive da Dio. Punto. Non c’è altro da aggiungere. Sa essere diretto, ironico, romantico, sensuale, coinvolgente, stimolante, sa creare suspense ed attesa. Il passaggio continuo dal passato al futuro degli avvenimenti che racconta è un espediente perfetto per tenere alta la tensione, per stimolarti ad andare avanti con la lettura, per farti partecipare della sorte dei personaggi.
I personaggi, appunto. Altro elemento fondamentale per amare alla follia un romanzo è quello di trovare dei personaggi che ti facciano venire voglia di conoscerli di persona, che sia per conversare con loro sorseggiando una tazza di tè o per innamorartene perdutamente o, semplicemente, per abbracciarli stretti perché comprendi perfettamente tutte le loro debolezze e fragilità. I personaggi di questo romanzo sono così. Perché io mi sono perdutamente innamorata di Struensee e della sua caparbietà e ho sofferto in maniera indicibile osservando re Cristiano VII, la sua viva intelligenza repressa, la sua dolcezza, la sua fragilità trasformata, a suon di punizioni corporali, in follia. E ho amato Caroline Mathilde, la regina, con la sua consapevolezza di essere donna ma, allo stesso tempo, con la sua sfrontatezza che diventa sfida nei confronti di chi utilizza il potere per reprimere ogni anelito di umanità. Tutti i personaggi che Enquist mette in campo sono estremamente veri, con qualità e debolezze di ogni uomo e, proprio per questo, impossibili da dimenticare.
Infine la storia. Un romanzo per appassionarti deve narrare una bella storia. Non che sia necessario, ci sono bellissimi romanzi che non raccontano assolutamente nulla ma… volete mettere una bella storia? Una di quelle che hai voglia di raccontare a qualcuno e che hai voglia di sapere come va a finire (ve lo dico subito: in questo caso malissimo! Uno dei finali più strazianti che romanzo possa avere…). E Il medico di corte è così: racconta una bella storia. Perché è la storia di un sogno, di un’utopia, destinata a scontrarsi con una realtà che fa di tutto per annientarla e, apparentemente, ci riesce. Ma si possono annientare le idee? E’ possibile farle morire come si fa morire un uomo? La risposta è tutta lì, nelle poco più di 400 pagine di questo meraviglioso libro.
Assolutamente da leggere.
L’esordiente Bernardo Zannoni è l’autore di un libro assolutamente originale, che ambienta in un classico bosco da fiaba le amarissime dinamiche e consapevolezze del genere umano. Donandoci un’opera assolutamente cruda e dolente.
In un immenso bosco convivono uomini e animali. Il romanzo ci narra la storia di questi ultimi. In particolare ci soffermiamo sulle peripizie del protagonista Archie da quando è cucciolo fino alla vecchiaia. Esso nasce in una famiglia numerosa e in grosse difficoltà economiche. Il padre è stato ucciso da un uomo, la madre non è adatta a crescere i figli che vede come un peso. I pochi momenti di gioia dell’infanzia si concludono il giorno in cui Archie (per colpa di un banale incidente) diventa zoppo. Per questo motivo la madre lo vende in cambio di una gallina all’usuraio del bosco, la volpe Solomon. Dopo giorni assai difficili e violenti, il nostro Archie comincia ad abituarsi alla vita nel negozio della volpe e alla compagnia del cane Gioiele, usato da Solomon per spaventare o eliminare chi non paga i suoi debiti. Le cose prenderanno una piega inaspettata quando Archie scoprirà che la volpe sa leggere i libri degli uomini, uno in particolare che parla di Dio. La faina capirà il significato di morire, soffrire, vivere. Dovrà affrontare il desiderio di essere felice, amare, lasciare qualcosa di buono e la violenza spiccia dei forti sui deboli, l’abbandono e lo sfascio famigliare, la perdita dell’amore e il tentativo di sostituirlo con un altro, i trucchi meschini per sconfiggere i nemici e l’amore totale per Solomon. Nel frattempo il bosco rimane indifferente alle sue gioie, ai dolori e agli stupidi intenti.
A volte capita di imbatterci in libri che non si concludono dopo la lettura. Opere in cui la parola fine ha poca importanza perché ci accompagnano quasi quotidianamente. Talora, mentre meno te l’aspetti, torni nei luoghi del romanzo, ti soffermi su una frase, un personaggio e devi far i conti col dolore e la speranza. Sono libri che ci garba definire importanti. Proprio come questa opera di debutto di Bernardo Zannoni. Costui con uno stile essenziale, preciso, palpitante e spedito ci offre una visione dolente, amara, cruda, ma non cinica dell’esistenza. Prendendo come protagonisti gli animali di un bosco e donando a loro alcune funzioni umane – fanno la spesa e altri lavoretti- ci parla del genere umano, di Dio (delle speranze che poniamo in lui), di amore persi e dei nostri stupidi intenti. Feroce e commovente, assolutamente da leggere.
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